Respiro
Quando nasciamo il nostro respiro è perfetto: una specie di onda regolare, senza forzature. Si potrebbe anche dire che una buona respirazione ci riavvicina al nostro essere più autentico, ad uno stato di grazia.
Praticamente ogni forma di ricerca religiosa e/o spirituale lavora sul ritmo del respiro attraverso idonei “esercizi”: in questo senso, e solo in questo senso non vorrei essere frainteso, non trovo troppe differenze tra recitare un rosario, un mantra o inseguire uno stato meditativo attraverso riti e canzoni indiane: la ricerca di quello stato di grazia, appunto.
L’architettura può condizionare il respiro?
Faccio un esempio. Siamo all’interno di una trattoria dove i tavoli sono serrati. Se allargo la sedia per prendere posto, vado a sbattere contro la coppia a fianco, oppure intralcio il passaggio al cameriere che inevitabilmente mi urta facendo cadere il soprabito che, ovvio, non si sa mai dove appendere. La restrizione dello spazio diventa riduzione del respiro in ampiezza e profondità. Vivo la mia esperienza spaziale e gastronomica con disagio, specie poi, come spesso succede, se la tv è accesa e il rimbombo è forte. Il respiro è spezzato, disomogeneo.
Cosa può imparare l’architettura dal respiro?
Una buona architettura, come un buon respiro, è fatto di inspirazione ed espirazione. Di pieni e vuoti, di spazi dilatati e contrazioni in sequenza che ti aiutano a dare un ritmo a quanto stai progettando. Niente di più lontano da uno spazio tutto visibile, tutto uguale, senza sorprese: quello che mi aspetterei da un luogo di lavoro con molte persone che fanno tutte la stessa cosa, in sequenza, non certo da una casa. Se non c’è la contrazione di uno spazio angusto come un corridoio non puoi neanche sentire quando lo spazio dilata in un soggiorno o in una camera.
E quando avviene, ed è fatto bene, è la sorpresa. In inspirazione.