Aggiungi un posto a tavola
Estratto dal mio articolo “Come mamma t’ha fatto” in Messaggero Cappuccino n.7 /2018.
Se aspettiamo ospiti li riceviamo nella zona giorno. Noi italiani prediligiamo la zona pranzo: è attorno ad un tavolo ben imbandito che si manifesta l’accoglienza. Si potrebbe dire che non ci può essere ospitalità senza condivisione, fosse anche un caffè all’idraulico, accorso per una perdita.
photo by Stella De Smit da “Unsplash”
I condomini fino agli anni ‘80 erano accoglienti: tutto il sistema, si direbbe in termine tecnico, connettivo (vale a dire ingressi, androni generosi, vani scale di un certo decoro) metteva e mette in effetti in connessione più persone, permettendone la socializzazione.
Nei condomini di oggi, frutto di un maggior interesse speculativo che sociale e finalizzato all’ottimizzazione dei metri quadri degli appartamenti da vendere, l’ospitalità è compromessa da ingressi così risicati che se il tuo vicino di pianerottolo vuol passare col le buste della spesa interrompe necessariamente le quattro chiacchiere che stavi facendo con la signora del terzo piano e che non vedi mai perché ha una certa età e così non la rivedi per altri due mesi.
Interno di condominio milanese
Ancora: un luogo ospitale può essere anche produttivo?
Sono ormai molte le aziende, specie le più grandi, che oltre a far progettare luoghi di lavoro belli e stimolanti, li stanno dotando di spazi al proprio interno non proprio convenzionali: mense, asili nido, palestre…
L’interesse alla condivisione e a rendere ospitale il proprio luogo di lavoro ha in questi casi una chiara volontà produttiva. Un’ impiegata infatti che non debba correre a casa durante la pausa pranzo, che non debba preoccuparsi del bambino da portare all’asilo e che non debba affrettarsi, magari chiedendo ore di ferie per andarlo a riprendere, è un’impiegata meno stressata, più sorridente e più concentrata.
La mensa all’interno di Technogym_ Cesena (FC)
Potremmo quindi desumere che ogni architettura può essere ospitale purché abbia almeno uno o più luoghi che siano accoglienti, condivisi, e che mi facciano sentire un individuo. Il ragionamento più essere esteso ovviamente anche alle chiese, alle caserme, alle città stesse.
Tuttavia non è forse vero che ogni atto fondativo, di ogni architettura, avviene attraverso l’erezione di un muro? E l’erezione di un muro non è forse il primo atto fondativo che separa l’io dal non io? La mia famiglia dalla tua? La mia città dalla tua? La mia religione dalla tua?
Forse non ci può essere una vera architettura ospitale, se non quella fatta di soli tetti sostenuti da colonne, e senza muri. L’archetipo architettonico per eccellenza: la capanna. E se il mondo avesse bisogno di un NeoPrimitivismo?