Lo spazio: chi era costui?
Con questo blog l’intento è avvicinare più persone a quanto mi appassiona: l’architettura e lo spazio architettonico che ognuno vive. E come lo vive.
Trovo infatti che l’architettura e gli architetti abbiano atteggiamenti troppo autoreferenziali e, così facendo, hanno perso il contatto col mondo sociale.
Le pagine delle riviste ma soprattutto il web è intasato di immagini di architettura e di interni. Immagini il più delle volte splendide: realtà inarrivabili per la maggior parte delle persone.
Ma lo spazio non è una somma di belle foto. L’esperienza di uno spazio non la puoi descrivere con le foto. Forse con un video, ma neanche. L’esperienza di uno spazio è un’esperienza. Punto. Non ha a che fare con le facciate o con l’interior design o con il decor. Quello è lo stile. Ma allora che cos’è lo spazio?
Digito la parola e ne esce, subito, questo: “Il luogo disponibile per gli oggetti della realtà in quanto si considerino individuati da una collocazione o posizione, dotati di dimensioni, e suscettibili di spostamento”. Cioè? In parole povere?
Spesso quando sono in difficoltà guardo il dizionario etimologico che mi insegna da dove vengono le parole, qual è il significato originale e scopro che è “quel luogo o tempo che sta in mezzo a due termini. Fig. Capacità di contenere i corpi”. Bellissimo. Quindi sono i corpi e la loro relazione con il corpo umano a misurare lo spazio, ad esserne il completamento.
Ovvio quindi che la mia ricerca personale come architetto è che lo spazio che viene abitato da un corpo possa essere davvero accogliente per quel corpo, o quei corpi.
Ovvio che quello spazio debba poi essere anche funzionale, bello, rispettoso delle norme, ecologico: mi piacciono le cose complesse, sì.
Ovvio che ritengo sia mio preciso dovere come architetto intervenire con consapevolezza a favore di chi ho davanti, mettermi a disposizione di chi si serve di me per avere una casa, uno spazio commerciale o di lavoro.
Ovvio che ritengo mio preciso dovere rendere quell’esperienza di casa, di spazio commerciale o di lavoro come un’esperienza di completezza, di stimolo e di centratura di sé.
Ovvio, no?